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Un articolo sul Corviale

Cuorviale, ovvero cartografia del Corviale in linea retta

È il titolo di un mio articolo appena pubblicato su Tracce Urbane, una rivista dell’Università La Sapienza di Roma. Ringrazio le curatrici Stefania Crobe e Elena Ostane, e in particolare Stefania che ha curato l’edizione dell’articolo. Tutta la rivista la trovate qui.

La copertina della rivista è una sono che ho scattato durante la realizzazione di “Senza titolo”, il doc sulla piazza delle arti di Corviale, realizzata per il Laboratorio di città Corviale. 

L’articolo integrale.

Cuorviale, ovvero cartografia del Corviale in linea retta

«Il Corviale, a Roma, è un quartiere pericoloso». «L’architetto che l’ha progettato, Mario Fiorentino, si è suicidato per l’evidente fallimento della sua idea». «A Roma, d’estate, c’è l’afa perché il Corviale blocca il ponentino». «L’edificio più importante e rappresentativo del complesso abitativo, è lungo quasi un chilometro». L’unica verità tra queste righe è la lunghezza di quello che per gli amici e i nemici è il «Serpentone». 

Questo è il diario di un’esperienza lineare nata per conoscere il Corviale, un quartiere che da decenni vive sul filo delle contraddizioni: pericoloso, occupato, degradato, recuperato, innovativo, curato, analizzato, creativo. Il palazzo simbolo, lungo 986 metri, alto 30, è una linea fitta di spazi, volumi e storie messi in fila. Si scontrano, si incontrano, si mischiano, si illuminano, si rincorrono e a volte cadono a terra. E quell’edificio, linea di confine abitata, delimita cosa? Un margine, un’idea di vita, un ‘oltre’ invisibile? Di sicuro è un generatore di pensieri che a volte si fermano sul muro grigio e altre entrano in casa passando dalla finestra chiusa. Di sicuro c’è molto da osservare, da ascoltare, da conquistare. Forse troppo. Uno spazio da raccontare attraverso il cammino e l’utilizzo di una limitazione che consenta sia di arginare quella complessità, sia di vedere punti precisi e scoprire l’invisibile. 

La limitazione si concretizza nell’assunzione di un punto di vista ben preciso: il marciapiede parallelo alla strada che costeggia il «Serpentone». Dunque ci sono tre linee parallele che si incontrano nella via di fuga che arriva al primo lotto, di fronte al bar che ha di fronte il capolinea del bus. Per lo spostamento lento e osservativo lungo una direttrice non immaginaria, ma ricca di immaginazione, il tragitto si avvale della macchina fotografica, ulteriore limitazione che esclude il mondo non compreso nell’inquadratura.

Con il concetto di «limitazione» il riferimento è all’opera di Nancy Holt, artista americana che indagava i luoghi, non solo con cinepresa e macchina fotografica, ma anche attraverso i suoi Locator, semplicissimi strumenti che permettevano di osservare il dettaglio di un luogo isolandolo dal suo contesto. Questo dava la sensazione di vedere quel posto per la prima volta e di stupirsi. I Locator erano tubi di acciaio a «T», dove poter guardare nel lato corto come si fa con il cannocchiale. Raccontò: «Mi sono svegliata una mattina, sono andata in un luogo di saldatura e ho realizzato alcuni Locator. Non erano cose che guardavi, ma erano cose con le quali guardavi attraverso. Ci si poteva concentrare su qualcosa che non si sarebbe notato fino a quando non si guardava attraverso il mio localizzatore, e allora si rimaneva sorpresi».

Camminare è costruire uno spazio. Non si scopre, si crea, perché ogni passo è la conquista di un territorio nuovo, anche quando ci si è già passati. La linea del cammino è un’area ricca di intrecci geografici e istintivi. Non c’è un disegno preventivo al suo svolgimento perché i nostri sguardi non sono mai uguali e noi siamo sempre diversi. Per John Berger «Guardare non è solo un atto percettivo, ma si intreccia con il vissuto, la storia e la memoria dell’uomo, dando luogo a un’esperienza complessa: che significa essere costantemente sorpresi da qualcosa».

Sia Nancy Holt e sia John Berger sono entrati in questo diario con una parola: «sorpresa». Ma cosa può esserci di sorprendente in un luogo così tanto raccontato con le parole e con le immagini? E, soprattutto, queste ultime, più volte viste, come incidono sul mio cammino? Non saprei rispondere, anche perché, una volta attivato lo sguardo e la macchina fotografica verso il mondo Corviale, tutto lascia il posto alla necessità di una relazione con il luogo e con le persone incontrate o che potrei incontrare. Come dice Susan Sontag, fotografare vuol dire appropriarsi di ciò che si fotografa, significa «stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere”. Un potere intimo rafforzato da ogni singolo passo del camminare, l’attività che, in quanto pratica dell’attenzione, consente di conquistare lo spazio e la realtà, proprio come le fotografie, e in questo concetto ritorno alla Sontag: «le immagini fotografiche non sembrano tanto rendiconti del mondo, ma pezzi di esso, miniature di realtà che chiunque può produrre o acquisire».

Il nomadismo lineare regala molto e le linee tracciate su questa retta si intersecano con le migliaia, milioni, infinite linee tracciate dagli abitanti del Corviale nel loro spostarsi a piedi. Trame ricche di umanità che pensiamo per indolenza ai margini e che invece stupiscono per normalità. 

La strada è un marciapiede, una linea obbligata e per di più dritta, che ha però un elemento auspicato di imprevedibilità: l’incontro con le persone, ovvero le storie che animano il Corviale. Il marciapiede stretto fa sì che gli incontri siano ravvicinati e favoriscano di conseguenza una sorta di confidenza immediata e automatica che poi si trasforma in chiacchiere e saluti cordiali. Se i luoghi meravigliano perché sembra di non esserci mai stati anche quando ci si torna, le persone meravigliano quando sembra di conoscerle da tempo pur non avendole mai viste prima. Così è naturale raccogliere umori e voci di chi va al lavoro, chi torna a casa o passeggia con il cane, chi guarda la macchina fotografica e cerca di capire se può fidarsi. 

«Ti piace il Corviale? Se ne parla sempre male, ma io non me ne andrei mai da qui». «Io e mio marito vogliamo andarcene. Ieri un vecchietto s’è buttato e pure una ragazza un po’ di tempo fa. Vuoi vedere la foto del vecchietto morto? Ce l’ho qui nel telefono». «Alla televisione parlano sempre male di noi, ma qui si sta bene. Vedi che pace?». «Voglio fare l’attrice, ma per andare a scuola devo prendere due mezzi ad andare e due a tornare. Alla fine il viaggio dura più della lezione. Non è facile abitare qui». 

Il marciapiede dà la dimensione umana di quel chilometro grigio puntellato di fiori colorati alle finestre e panni stesi che restano immobili nonostante il vento. E le voci delle persone si ritrovano anche in formato silenzioso e letterario sui muri ricchi di citazioni che sembrano corredare di saggezza lo spazio dicendo: «Guarda e sorprenditi perché c’è un sogno in ogni angolo se sai ascoltare, se sai ascoltarti». Voci scritte che sembrano formare un immaginario «Coro polifonico del palazzo chilometrico».

Quegli incontri sul marciapiede torneranno a casa dietro i vetri di innumerevoli finestre dove innumerevoli storie personali hanno costruito la loro zona di confort confinata da muri bianchi, rosa, color cappuccino, mobili di design, presi dal rigattiere, ereditati dai nonni, tv megagalattiche, a tubo catodico, niente tv, profumo di pasta al sugo, di libri di scuola, odore di chiuso, di sciatteria, di detersivo e ammorbidente. Esattamente come tante altre case dell’universo. 

Il cammino sta per terminare e mi accorgo che nelle fotografie prevale un colore, ma non è il grigio dei muri. È quello del «Chilometro verde» che testimonia l’avanzare di lotto in lotto (sono nove nel cosiddetto «Serpentone») di un progetto di recupero abitativo del quarto piano, quello dedicato agli esercizi commerciali nel progetto di Fiorentino. Mai utilizzato per i suoi scopi, fu abbandonato e poi occupato da famiglie in cerca di casa. L’altro verde, più presente nello sguardo e quindi nel bottino fotografico, è quello della natura: alberi, fiori, erba, che voluti dal caso o dagli abitanti, assolvono a una sorta di emergenza naturalistica che ammorbidisce l’animo e le linee dell’architettura, creando nuove ombre ristoratrici. L’accostamento verde-Corviale mi fa pensare al giardino che Derek Jarman creò a Prospect Cottage, una piccola casa di pescatori costruita sulla terra arida e a ridosso di una centrale nucleare. Il regista la acquistò e la fece diventare un paradiso grazie al giardinaggio, un’attività che ristorava se stesso e chi frequentava quel giardino. Una preziosità quella dei fiori e della natura che Jarman sottolineò nel suo film «Wittgestein», quando il filosofo, da giovane disse: «Il verde, cioè la natura, spezza sempre il rigore della logica, e mostra una via d’uscita sempre a portata di mano, una via d’uscita che non vediamo solo perché siamo sempre trascinati via dai pensieri che ci offuscano la vista del mondo com’è».

Ed ecco l’arrivo, una non meta che chiude il cammino, gli incontri, le sorprese e le fotografie che faranno gruppo anche quando nessuno sarà lì ad osservare. Il corviale, uno spazio spigoloso nelle linee, ma armonioso e umanamente ricco, così come l’aveva sognato il suo architetto inventore. Una grande mappa fusa inscindibilmente con il nostro essere, e in quanto tale, già cambiata un attimo dopo averla immaginata, semplicemente perché siamo appena cambiati noi. (E comunque Fiorentino non si è suicidato). 

Note bibliografiche

La presente bibliografia non ha l’intenzione di essere un riferimento scientifico, ma uno stimolo all’attivazione di esperienze conoscitive del territorio, ovunque questo sia, anche sotto casa. Le letture indicate sono parte della formazione personale costruita nel tempo.

Nancy Holt: Inside/Outside, Lisa Le Feuvre e Katarina Pierre – Edizioni Monacelli Press, 2022

Sul guardare, John Berger – Edizioni Mondadori, 2003

Come diventare esploratori del mondo, Keri Smith – Edizioni Corraini, 2014

La passeggiata, Robert Walter – Edizioni Adelphi, 2013

A field guide to getting lost, Rebecca Solnit – Edizioni Canongate Books, 2005

L’interpretazione dei luoghi, Giampaolo Nuvolati – Ed. Firenze University Press, 2013

Camminare, Henry David Thoreau – Edizioni Mondardori, 2009

Cose che parlano di noi, Daniel Miller – Edizioni il Mulino 2014

Le Vie dei Canti, Bruce Chatwin – Edizioni Adelphi 1995

Vertigine della lista, Umberto Eco – Edizioni Bompiani 2009

Everything sings: Maps for a Narrative Atlas, Denis Wood – Edizioni Siglio, 2010

Il giardino, Derek Jarman – Edizioni Nottetempo 2019

Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Susan Sontag – Einaudi, 2004

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